Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
E si, anch’ io ho avuto “u nonnu americanu”: Domenico Pungitore che, all’età di 28 anni, nel lontano 1923, è emigrato verso l’America.
Come tanti, anche lui cercò fortuna in quella che, per molti è diventata e per altri lo è ancora, una sorta di “terra promessa”.
Come tanti altri, anche lui si imbarcò su un piroscafo per sbarcare nell’isola di Ellis Island dove sarebbe stato sottoposto ai controlli a cui dovevano sottostare i nuovi arrivati ed eventualmente, sulla stessa isola, essere tenuti in quarantena.
L’isola di Ellis Island, già conosciuta dagli inglesi col nome di Gibbet Island, era utilizzata da questi per confinarvi i pirati, come in una sorta di prigione all’aperto.
Dal 1894 gli americani cominciarono ad usarla come luogo in cui accogliere gli immigrati provenienti da tutta l’Europa, considerate le reali opportunità occupazionali offerte dalla loro economia, una volta superata la depressione economica di cui avevano sofferto.
Un luogo di prima accoglienza e in fondo anche una sorta di prigione dalla quale era difficile allontanarsi fino a che non erano state espletate tutte le procedure previste. Ad Ellis Island venivano portati soltanto coloro che nell’imbarcazione occupavano la terza classe, mentre i ricchi passeggeri della prima e seconda classe venivano ispezionati nelle loro cabine e fatti sbarcare.
Sicuramente mio nonno per andare all’ammerica ha occupato uno dei 2500 posti di terza classe di cui era dotato il piroscafo Taormina: così si chiamava l’imbarcazione che, salpata dal porto di Napoli, lo portò nel “Nuovo Mondo”.
Il piroscafo Taormina che viaggiava ad una velocità di 16 nodi, stazzava 8.272 tonnellate, era lungo 146,91 metri e largo 17,75; oltre ai 2500 posti di terza classe ne aveva anche 60 di prima.
Insieme con lui, come risulta dalla carta d’imbarco, pubblicata sul sito www.ellisisland.org hanno viaggiato i francavillesi:
Come è facile rilevare mio nonno era il più giovane della “delegazione” dei francavillesi.
Gli immigrati, forniti del documento con tutti i riferimenti della nave che li aveva sbarcati a New York, venivano sottoposti dai medici ad una breve visita e coloro per i quali eventualmente c’era la necessità di ulteriori approfondimenti clinici, venivano marcati con del gesso sulla schiena.
Nei casi in cui il quadro clinico fosse compromesso veniva disposto il ricovero presso l’ospedale di Ellis Island. Per i quadri clinici da definire era previsto il trasferimento al secondo piano, dove si effettuavano accertamenti rispetto alle malattie infettive e contagiose o psichiatriche.
Coloro che non superavano gli esami clinici che consentivano l’ingresso venivano contrassegnati con una croce bianca sulla schiena e confinati a Ellis Island fino a diversa decisione, o addirittura reimbarcati.
Questo era solo il primo passo per entrare nella “terra promessa”.
Era necessaria infatti una giornata intera per concludere la fase dell’ispezione dopo che era stata consegnata ad ognuno degli immigrati la inspection card.
La fase più impegnativa si svolgeva nella parte centrale della sala di registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigrati uno ad uno.
La maggior parte di coloro che arrivavano erano persone per lo più senza una specifica formazione, affamate, spesso sporche e senza più risparmi, ormai esauriti per pagare il viaggio, quasi sempre senza la conoscenza di una parola di inglese.
Conclusa l’ispezione si passava per le scale dette della separazione. Scale definite così perché erano il luogo in cui molte famiglie e molti amici venivano di fatto divisi, gli uomini da una parte, le donne e i bambini dall’altra e avviati a destinazioni diverse.
I nuovi arrivati in quella realtà per loro sconosciuta e senza un supporto da parte delle istituzioni, senza alcuna conoscenza della lingua e spesso senza un soldo, dovevano fare i conti con truffatori di ogni risma: da quelli pronti ad impossessarsi dei loro bagagli a quelli che cambiavano moneta a tassi da rapina a quei pochi che erano riusciti a portare con se dei soldi.
Tra i tanti controlli che venivano effettuati c’era anche quello di verifica della nazionalità e naturalmente dell’eventuale affiliazione politica.
Coloro che non riuscivano a superare i controlli e quindi non accettati, corrispondenti a circa il 2%, dovevano essere riportati nei loro porti di origine. Questo era l’obbligo per i capitani delle navi.
Molti degli esclusi cercavano comunque di raggiungere Manhattan a nuoto, altri si suicidavano pur di non tornare nei loro paesi di origine.
Ellis Island è stata anche definita l’Isola delle lacrime perché in pochi minuti veniva deciso il destino dei singoli e di intere famiglie.
L’isola fu abbandonata dagli americani nel 1954.
Oggi è un Museo: il Museo dell’Immigrazione dove tra l’altro, oltre 100 milioni di americani possono ritrovare le loro origini e le tracce dell’uomo, della donna o del bambino che, passando dalla grande Sala di Registrazione, hanno dato vita alla loro dinastia nell’America.
Come succede in tutti i paesi soggetti ai flussi migratori, anche in America c’erano forti sentimenti razzisti,sostenuti in modo particolare dal Ku-Klux_Klan, costituito nel 1915:gli immigrati erano considerati “razza inferiore” e, ovviamente, costretti a subire ogni tipo di angherie e di ricatti pur di evitare problemi che potessero impedire la realizzazione del loro sogno di garantire una prospettiva di vita dignitosa a se stessi e alla propria famiglia.
Tutti questi sentimenti sono raccolti nell’agghiacciante relazione dell’ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano dell’ottobre del 1912.
1912 Congresso degli Stati Uniti - Rapporto sugli immigrati italiani:
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti fra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare fra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali. Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione ”.
Oggi, dopo oltre cento anni, i benpensanti e i partiti politici del nostro paese che fanno riferimento alle forze più reazionarie e conservatrici, usano gli stessi argomenti per giustificare il loro comportamento razzista e grazie al clima di paura suscitata da tale atteggiamento, costruiscono le proprie fortune elettorali.
In Italia sulla paura suscitata da tanta falsa e strumentale propaganda sulla sicurezza, è stata addirittura autorizzata la costituzione delle ronde composte dai cosiddetti volontari.
Non ci sono parole!
Com’è attuale il 1912.
Noi non abbiamo un luogo come Ellis Island ma le coste della Calabria, della Puglia, della Sicilia sono i luoghi in cui, prevalentemente, coloro che sono alla ricerca di un pezzo di pane, sbarcano sperando di entrare nel nostro paese.
Invece di offrire centri di accoglienza degni di questo nome, abbiamo costruito i centri di permanenza temporanea: una sorta di prigioni in cui gli immigrati vengono trattenuti forzosamente in attesa di controlli.
Passano i secoli eppure a parti invertite le cose si ripetono. Sembra che l’uomo non impari mai dai suoi errori.
L’altro ieri mio nonno negli Stati Uniti, ieri mio padre nel nord Italia, dove si poteva leggere all’ingresso di molte attività commerciali vietato l’ingresso ai cani e ai terroni, poi in Germania, oggi forse io a Roma, a chi toccherà domani essere considerato
“razza inferiore” ?
Non so se mio nonno sia stato un buon marito e un buon padre, non posso essere io a giudicare; posso però dire che è sempre stato un lavoratore e una persona onesta. Privo di ogni pregiudizio, io credo che, come lui e come mio padre, siano persone oneste in cerca di lavoro anche la stragrande maggioranza degli stranieri che vengono nel nostro paese.
Solo due cose sono infinite:
l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima.
Albert Einstein
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