Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
I Nidi
Con l’arrivo della primavera i ragazzi e, solo loro, si trasformavano in esperti e pazienti cacciatori.
Non avevano armi , se non a volte la fionda autocostruita, ma semplicemente tanto tempo a disposizione e una grande pazienza.
Tempo e pazienza che venivano utilizzati per una ricerca meticolosa dei nidi di uccelli, ossia come li chiamavamo “folè”.
La ricerca avveniva guardando con attenzione dentro le siepi (sipali) , “ i spinari”, dentro i buchi (grupa) che caratterizzavano le pareti esterne delle abitazioni( buchi che forse erano serviti per inserire i pali necessari a sostenere le tavole per innalzare la costruzione), sotto gli spazi delle tegole e sopra gli alberi.
Non ci metteva paura niente e non c’era nessun ostacolo che ci potesse fermare.
Magari tornavamo a casa sporchi, pieni di graffi causati dalle spine, o con qualche ammaccatura provocata dalla caduta da un albero, ma pur di verificare la presenza di un nido ci si avventurava dovunque.
La ricerca avveniva con grande circospezione. Primo perché bisognava evitare di disturbare gli uccelli che altrimenti avrebbero lasciato il nido se questo era ancora vuoto e poi bisognava evitare di essere visti dagli altri “cacciatori”.
Partivamo spesso scalzi a gruppi e ogni volta che riuscivamo ad individuare un nido era festa.
I nidi li osservavamo ogni giorno. Ogni giorno sempre con molta attenzione verificavamo gli sviluppi che avvenivano al suo interno.
E ogni giorno verificavamo il comportamento degli uccelli.
Dalla conclusione della sua costruzione fino alla nascita degli uccellini passando per la fase delle uova deposte che venivano covate.
Di ogni nido sapevamo quante uova c’erano, se gli uccellini erano nati ed erano tutti vivi, nonché quando cominciavano a crescere le piume ai piccoli. Quando i "cejuzzi" diventavano “volantini” ossia erano pronti per volare li prendevamo.
Se prendere i nidi costruiti sugli alberi e tra le siepi era relativamente facile, per prendere quelli costruiti sotto le tegole era molto più difficile.
Questa difficoltà aumentava con l’aumentare dell’altezza del tetto della casa.
Ma non ci fermavamo nemmeno di fronte a questo ostacolo.
Infatti si ci si recava al fiume, “a Frischia”, dove tagliavamo dal canneto lì presente un certo numero di canne che, dopo aver pulito per evitare di tagliarci le mani, si legavano insieme con delle corde o a volte con del fil di ferro, “fierru filatu”, dopo averne sovrapposto una parte.
Ottenevamo così una canna abbastanza lunga per raggiungere le tegole.
Ma non avevamo ancora finito.
Bisognava a questo punto tagliare un altro pezzo di canna lungo circa un metro da legare in modo perpendicolare alla canna più lunga e fissare ad essa una forchetta a cui erano stati piegati i denti a metà. Due denti erano girati verso l’alto e due verso il basso.
La canna così costruita si infilava sotto la tegola e con un movimento alternato, avanti e indietro, si cercava di agganciare il nido.
Una volta che questo avveniva il nido con il suo contenuto veniva giù.
Questa caccia oltre consentirci di respirare tanta aria pulita ci dava l'opportunità di imparare a conoscere gli uccelli e le loro abitudini e naturalmente le piante che di volta in volta incontravamo.
Dal materiale che veniva usato per fare il nido riuscivamo quasi sempre a capire di che uccello si trattava(spinzu, carcarazza, pica, cardiju, farfetta, gruara, verduni, miejiru, ecc. ecc.). Ma il sogno di tutti noi ragazzi cacciatori era quello di poter riuscire ad entrare in un pezzo di terreno nei pressi di una località denominata "Acquaru" dove era situata "a pignara" .
Su questo pino infatti erano stati costruiti decine e decine di nidi, che però non potevamo prendere. Oltre alla difficoltà di entrare in questa proprietà, dovuta al fatto che i fattori erano sempre presenti, non avevamo l'occorrente per riuscire a salire su quello che a noi sembrava un albero dal fusto molto grosso e alto. Ogni tanto a raccogliere quei nidi ci andavano gli adulti e noi curiosi e invidiosi osservavamo e ci divertivamo.
Altri tempi.
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