Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
Con l’arrivo dell’autunno, insieme alla vendemmia che durava pochi giorni, l’attività che impegnava molto i contadini e, in modo particolare, le donne era la raccolta delle olive. Un lavoro molto duro a cui le donne si dedicavano con grande pazienza.
E giusto la pazienza delle donne poteva consentire di raccogliere le olive, una ad una, che erano cadute dagli alberi sulla terra a loro intorno e dove precedentemente si era provveduto "u si rampa", stando ore e ore piegate sulla schiena o accoccolate sulle gambe. Le olive raccolte venivano messe dentro "u panaru" che poi veniva svuotato dentro i sacchi di iuta o dentro un luogo chiuso in attesa di essere portati "o troppitu" per la macina.
È forse per questo lavoro molto pesante che ancora oggi si dice che rompere o far cadere un recipiente che contiene olio è sinonimo di sventura, che "porta mala".
Un tempo non c’erano gli ausili, tecnologici e non, che ci sono oggi.
Non c’erano reti o macchine che aiutassero gli uomini e le donne ad affrontare questo lavoro molto pesante.
Gli uomini erano chiamati solo per battere con dei bastoni molto lunghi i rami delle piante e far si che le olive cadessero per poter essere raccolte.
Spesso le donne oltre a raccogliere le olive avevano anche il compito di portare i sacchi in testa fino al troppeto.
Erano pochi gli abitanti di Francavilla Angitola che possedessero delle terre con sopra delle piante di olive e quindi bisognava trovare il proprietario con cui trovare un accordo.
E per l'accordo nelle diverse fasi storiche si parlava di parte "'n siestu, quintu, quartu ecc. ecc. fino ad arrivare oggi a mienzu", nel senso che le olive raccolte si sarebbero suddivise tra chi li raccoglieva e il proprietario dell’oliveto in un sesto (su sei panieri cinque spettavano al proprietario e solo uno alle raccoglitrici) o in un quarto e così via per le raccoglitrici e il resto per il proprietario o metà per il proprietario e metà da suddividersi tra quanti erano preposti alla raccolta.
Il più delle volte non potendo raccoglierle da sola una famiglia, o perché poco numerosa o perché aveva altri impegni nella campagna o per qualsiasi altra incombenza, si univa insieme ad altre e come si diceva allora si prendeva "a parti". Nel senso che tolta la parte del proprietario delle piante, secondo l’accordo che si era stabilito, il resto delle olive veniva suddiviso in parti proporzionali a quante persone e giornate ognuna delle famiglie aveva concorso per la raccolta.
Oltre che per la macina le olive si raccoglievano anche per prepararle in tanti modi per essere poi consumati durante tutto l’anno. Si facevano "alivi scacciati" con le olive ancora verdi, che come dice il nome si schiacciavano con un sasso per aprirle e una volta tolto "l’uossu" si mettevano sotto acqua finchè non diventavano dolci e quindi si "aggiustavano" con diversi ingredienti tra cui l’olio.
Si raccoglievano anche le olive che si sarebbero conservate sotto salamoia dentro
"a giarra" insieme a tanti ingredienti tra cui sale, aglio e peperoncino.
Altri facevano anche i "livi intaccati" un’altra variante di olive che una volta addolcite si ponevano dentro dei vasetti sott’olio dopo averle appunto intaccate, ossia tagliante in senso verticale.
Una volta arrivate al troppeto le olive venivano messe sotto la macina che le trasformava in una pasta che poi si sarebbe spalmata su i "cuoffi", dei dischi di un materiale particolare, diaframmi di fibra vegetale o sintetica, detti "fiscoli" con foro centrale, che serviva per poter essere infilati dentro l'asse di un grosso carrello di forma circolare su tre ruote; ogni due fiscoli con la pasta si infilava nel carrello un disco di acciaio e una volta che il carrello era pieno si posizionava sotto una macchina a pressione.
Finita la fase della pressa si passava alla "crescita dell’olio". Ossia alla fase nella quale tramite "u piattu" si prendeva l’olio dalla vasca dove si era depositato, insieme con l'acqua, per metterlo dentro dei grandi secchi per essere poi portato a casa. Quello della crescita era una fase delicata perché bisognava saper prendere tutto l’olio senza pescare acqua.
Quello che rimaneva sotto la pressa della pasta delle olive "i nuozzuli" venivano utilizzati per accendere il fuoco " 'nto focularu" per cucinare e/o per riscaldarsi.
Una volta che l'olio veniva prelevato dalla vasca, l'acqua sul quale questo galleggiava veniva fatta defluire dentro "u catripulu" e siccome in quest' acqua rimaneva sempre un pò di olio, alla fine i gestori "do troppitu" riuscivano a recuperarne una certa quantità da utilizzare per fare il sapone o, come spesso capitava, per barattarlo con una certa quantità di frutta dai venditori che periodicamente venivano a Francavilla Angitola per reperire dell'olio.
Sento ancora il profumo e il sapore dell’olio appena preso dalla vasca, profumo e sapore che mi ricorderanno sempre la Calabria e Francavilla Angitola insieme agli anni spensierati della mia infanzia, se pur vissuti con sacrifici ma anche con grande dignità.
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