Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
Della Confraternita del Ss.mo Rosario di Francavilla Angitola «non si conosce l’epoca dell’origine; solo da vecchi registri rivelasi che esiste da circa quattro secoli», così il Priore Pietro Grillo nel 1926(1).
Tale testimonianza permette, tuttavia, di tenere in considerazione gli anni immediatamente successivi all’apertura in Francavilla del convento di S. Maria dell’Annunziata dei PP. Domenicani (1545), che, come è noto, diffusero la pratica del Rosario(2).
Lo statuto della congregazione laicale — che contiene le norme che regolavano la sua vita interna e quelle che tendevano alla «mortificazione dei vizi e alla buona disciplina cristiana» — venne approvato con real decreto del 30 maggio 1756(3).
Compare subito, dalla lettura di quelle norme, una struttura gerarchica e rigida al cui vertice era il Priore, «soggetto timorato di Dio, economo per il commun bene», che doveva «stabilire, reggere e regolare gli affari della società», coadiuvato da due Assistenti, persone «d’ogni buona qualità forniti». Questi ultimi avevano il diritto di «sedere uno alla destra e l’altro alla sinistra del superiore allorché assistevano in Congregazione». Detti «Ufficiali» dovevano essere «ubbiditi e rispettati, essendo capi ed amministratori di detta Congregazione», da tutti gli iscritti.
La loro elezione era annuale e si svolgeva, si legge all’articolo quattro dello statuto, nel seguente modo: «il Priore e li Assistenti che, terminano il loro ufficio, nomineranno tre Fratelli uno per ciascheduno quali proposti si debbano in Congregazione e chi averà maggiori voti segreti resterà Priore e chi meno Primo Assistente e chi meno secondo Assistente ed occorrendo parità di voti il più antico Fratello delli due... resterà eletto all’Ufficio, e l’istesso si prattica per il Tesoriere ossia Procuratore». Salvo giusti motivi, gli eletti non potevano rifiutare l’incarico a cui erano stati proposti, pena la perdita «di voce attiva e passiva per tre anni».
Per evitare che la Congregazione fosse monopolizzata da un gruppo o da una famiglia è specificato che «quei che devono essere eletti per Amministratori e Razionali di detta Congregazione non siano debitori della medesima e che avendo altre volte amministrato le sue rendite e beni, abbiano dopo il rendimento dei conti ottenuta la debita liberatoria, e che non siano i medesimi consanguinei né affini degli Amministratori precedenti sino al terzo grado inclusivo de jure civile».
Compito degli Assistenti e del Priore era quello di nominare tutte le altre figure «istituzionali» della Confraternita: il segretario, il maestro dei Novizi, il sagrestano, due cantori e due infermieri.
Se per il maestro de’ Novizi e per i due cantori non sono specificati i compiti e le funzioni lo sono invece per tutte le altre figure, così il segretario «farà l’Ufficio di archivista, conserverà le scritture che spettano alla Congregazione formerà un esatto inventario; compiuto il suo Ufficio faccia la consegna al successore da cui esigerà la ricevuta ed in luogo dì contravvenzione possa il Priore mortificarlo; registri l’elezzione de’ Fratelli, spedischi biglietti, noti i voti, registi al libro i Fratelli defunti, le conclusioni e tutto quello che sarà dal Priore e dagli Assistenti disposto a vantaggio della Congregazione, né sortisca Fratello alcuno se prima non sottoscrive ciocché si è determinato dalla Congregazione» (4); il cerimoniere «accudisca alle bussole con inviolabile segretezza e leggerle doverà in Congregazione ogni domenica» (5); il sagrestano «attende a mantenere con polezie la Congregazione, conserverà i suppellettili; è lecito loro, non senza licenza del Priore, imprestarle ad altri e del tutto ne facia distìnto inventario affinchè terminato l’Ufficio si possano consegnare, previo ricevo del successore» (6); gli infermieri «avvisati dal Priore si portano in casa del Fratello infermo e faranno uso di carità verso di quello»(7).
Rientrava invece nelle competenze dell’assemblea l’elezione del Padre Spirituale, «la sua incombenza sarà di avere il peso di promuovere il bene spirituale con spesse volte sermocinare alli Fratelli, celebrare la S. Messa e fare ogni altro che la nuda e semplice spiritualità riguarda, senza punto potersi inserire nella temporalità della Congregazione»(8).
Per poter entrare a far parte della Congregazione l’interessato doveva presentare «il memoriale al Priore spiegando il suo desiderio, il quale trovandolo mediante l’informo del Maestro de’ Novizi, di buona vita, fama e costumi lo proponghi... a tutti i Fratelli della Congregazione.. .debba ancora eliggersi per voti segreti in un cassettino con due tiratorelli, in uno de’ quali si debba scrivere nel frontespizio la particola sì e nell’altro la particola no; ed essendo la maggioranza de’ voti del Si possa essere annotato nella tabella dei Novizi e poi lasso un anno dichiarato Fratello»(9).
Ogni iscritto aveva l’obbligo di «vivere, confensarsi e comunicarsi in tutte le prime domeniche dell’anno, in tutte le feste del Signore, della Madonna e dei SS. Apostoli, nel giorno della Commemorazione de’ Morti in Congregazione applicando dette opere in suffraggio de’ Defunti Fratelli e Sorelle»; di contribuire al «mantenimento dell’Altare, degli utensili ed altro che porterà di spesa» con un versamento di grana dodici ogni anno(10).
Il versamento di quella quota annuale costituiva per ogni Fratello il diritto a pretendere nella sua morte «l’associamento ossia Processione che devono fare tutti li fratelli vestiti coll’abito nell’esequie, come anche nel primo giorno di Congregazione la recita del primo notturno con le lodi dell’Ufficio de’ Defunti, o in vece di detto notturno e lodi una terza parte di Rosario Cantato... e farsi applicare la Messa cantata»(11).
Nel XVI e XVIII secolo la necessità di messe pro anima era molto sentita soprattutto per mitigare l’ossessione della morte e la paura del giudizio universale. A tal fine i membri della Congregazione, pagando venticinque grana l’anno, avevano la possibilità d’iscriversi ad un Monte il cui scopo era di provvedere alla celebrazione di sessanta messe basse in suffragio dell’anima dei soci defunti(12).
In origine le messe erano venticinque, di cui dieci dovevano essere celebrate dai PP. Domenicani ai quali era corrisposta «la carità di carlini dieci»(13). Successivamente, il 27 febbraio 1709, si stabilì di «aumentare et accrescere altre venti messe e mezza che unite alle messe venticinque, che vi erano, fanno un numero di quarantacinque e mezza, quali si habbiano di havere nella morte di ciascheduno iscritto in detto Monte»(14).
In quella circostanza alcuni soci dichiararono di volere solo le venticinque messe prima stabilite e con le «venti messe e mezza si pagasse il jus funerum alii rettori, vicari foraneo et sagrestano»; altri «hanno voluto e veglino che siano dette tutte le sudette quarantacinque messe e mezzo et il jus funerum lo habbiano da pagare li heredi di ciascheduno di essi fratelli»(15).
Veniva precisato che « lo notturno l’habbiano (i fratelli)... quando il cadavere si seppellirà in alcuno convento di questa terra... che se qualche fratello di detto Monte morisse fuori di questa Patria, in tal caso il tesoriere... li habbia di far celebrare tutte le quarantacinque messe e mezza e darci la carità di quelle e quelli sacerdoti che le celebreranno, questo s’intende per quelli fratelli che hanno voluto li venticinque messe e per (le) altre venti messe e mezza hanno voluto pagato il jus funerum. Il tesoriere, e fratelli prò tempore habbiano di pagare solo carlini venti e mezzo alli rettori di quella terra dove sarà seppellito»(16).
Si stabilirono, inoltre, i provvedimenti da adottare nei confronti dei morosi: «se ciascheduno di detti fratelli non pagherà detti grana ventincique per l’ultima di gennaro sia escluso da detto Monte et non habbia suffragio veruno», e le misure per evitare il fallimento del Monte: «...detti fratelli... s’obbligano, respettivamente iscritti in detto Monte o vero si volessero scrivere, d’oggi innanzi di mantenere in piè docati venti per non fallire; delli quali ogni fratello iscritto ...ne habbia di mettere la rata che li spetta fra il termine di un mese a die, et non mettendo la rata parte che li spetta sia cassato da detto Monte et non habbia suffragio veruno»(17).
Nel corso del ’700 le messe pro anima furono aumentate a sessanta; infatti, all’articolo XVIII dello statuto si legge che gli iscritti al Monte «averanno la celebrazione di messe basse numero sessanta... e un rotolo di cera lavorata da consumarsi nell’esequie»(18). La stessa norma precisava che la «rata parte», dovuta dagli iscritti al Monte per evitare il fallimento, doveva essere proporzionale all’età, alla salute e alle condizioni economiche del singolo e che comunque tale «corrispondenza» non poteva superare i quattro ducati(19).
La partecipazione alla vita religiosa della comunità in cui la Confraternita agiva ed operare si realizzava la mattina «della domenica di Pasqua di Resurrezione o nelle feste di essa Pasqua oppure in altro giorno festivo usque ad Ascentionem in memoria del Glorioso Risorgimento di Nostro Signore Gesù Cristo» con la processione «detta del Confronto con la statua dì Cristo Risorto per tutti i luoghi soliti di detta terra con licenza e consenso solo dell’ordinario di detto luogo»(20).
Nel 1781 lo zelo religioso e l’incremento del sodalizio spinse i PP. Domenicani a cedere l’antica sacrestia, contigua alla sede della Congregazione, perché, abbattuto il muro divisorio, si evitavano i disordini derivanti dall’angustia del luogo: «nei giorni solenni e di devozione molti fratelli restano fuori ed altri devono stare all’impiedi; stante la precennata angustia viene attrassato il culto di Dio e la devozione della Vergine Ss.ma, e maggiormente si soffre l’incomodo nei giorni d’estate e in quei giorni che dal Padre Spirituale si devono fare li sermoni»; inoltre, si poteva sistemare «decentemente l’altare di Maria Ss.ma del Rosario colli misteri di esso»(21).
La concessione non fu a titolo gratuito; infatti, il priore prò tempore, Michele Vitale, pagò al convento, a titolo di «ricognizione ossia elemosina», 130 ducati. I Domenicani s’obbligavano a celebrare duecento messe a richiesta della confraternita.
La devozione alla Vergine del Ss.mo Rosario tra la popolazione di Francavilla è testimoniata da numerosi ex voto, fra i quali si ricorda quello di Nicoletta Mannacio. Il 12 maggio 1782, Domenico Soriani di Monteleone, procuratore della Nicoletta, «per voto fatto e per sua devozione alla Sacra immagine della Beata Vergine del Rosario di questo prefato luogo di Francavilla», consegnava ai responsabili della confraternita un vestito «intiero di drappo frascato in oro di vari colori e con altre robbe componenti detto vestito»(22).
Il 23 marzo 1843 la confraternita decise la ricostruzione della chiesa del Rosario, che era rimasta gravemente danneggiata dal terremoto del 1783(23). E poiché «ciò non si può fare senza il permesso del signor Vincenzino Mannacio quale marito e amministratore delli beni di sua moglie (Maddalena Soderò) donatoria del palazzo (ex convento dei Domenicani) sito in prospetto di detta Congregazione», si autorizzava il primo assistente Vincenzo Ciliberti (il priore era Giuseppe Mannacio) a «poter stipulare col sudetto D. Vincenzino Mannacio tutti quei patti, vincoli, condizioni e penale, che esso primo assistente crederà conveniente»(24).
La convenzione fu stipulata il 23 dicembre 1843 e impegnava la confraternita a costruire la chiesa entro cinque anni; a cedere alla controparte la fabbrica dell’antico campanile attaccato al palazzo e a ricostruirlo assieme al prospetto della chiesa; a provvedere all’incanalamento dell’acqua piovana; al pagamento di una penale di 250 ducati»(25).
La chiesa, ad un’unica navata, fu realizzata entro i termini previsti, come risulta da un’epigrafe, datata 1848, posta sull’arco di trionfo.
È dotata di tre altari: S. Rocco di Montpelier (a destra per chi entra), S. Francesco di Paola e l’altare maggiore, in legno intagliato, con la statua della Madonna del Rosario.
Inoltre, nella sagrestia si conserva una tela di autore ignoto raffigurante la Circoncisione(vedi foto a lato). Un altro dipinto con la Madonna del Rosario è andato distrutto. In un documento del 24 febbraio 1854 si legge che il dipinto fu strumento di un evento soprannaturale: «suonate le ore 22,30 e da noi sacerdote Giuseppe Attisani, sottoparroco, essendo compiuta la sacra funzione nell’Oratorio del Ss.mo Rosario, perché impedita la chiesa matrice per i danni sofferti dal terremoto della sera del 12 c.m. di febbraio, ritiratici in sagrestia per svestirci dai Sacri Paramenti, riuniti con l’accolito Farina e Fabrizio Solari, ci siamo accorti con medesimi occhi che nel quadro del Ss.mo Rosario, posto in sagrestia dirimpetto ov’eravamo, la Vergine, dalla parte dell’ascella destra, era sparsa di un umore come l’avesse spruzzato con ...l’acqua. Ma perché ivi non eravi dimorato alcuno a far ciò, un poco meravigliati, abbiamo preso un fazzoletto e ci siamo messi ad asciugarla. Come perfettamente abbiamo fatto; di nuovo incomincia a scaturire il medesimo umore per cui maggiormenti sorpresi non potendo attribuire l’avvenimento e benché nel muro d’overa affisso il quadro non poteasi dubitare di umidità, pure si volle dagli astanti distaccare il quadro stesso. Ciò avendo fatto, si è osservato in tutta la parte posteriore asciuttissimo. Indi riposto al luogo medesimo e asciugatoio con un pannolino bianco nuovamente si vide l’umore distillare dalla mano dritta, coprendo la stilla financo la corona del Rosario che porge al Santo Patriarca S. Domenico. Il quadro fu asciugato per la terza volta. Abbiamo detto agli astanti nominati, a Fra Francesco da Girifalco, minore riformato, e a Federico Bonelli di non far motto a nessuno di questo avvenimento, poiché se la Vergine vorrà che si manifesterà al pubblico potrà replicarlo alla presenza di altre degne persone. Sia di memoria. Sac. Giuseppe Attisani»(26).
Gli ultimi anni della secolare vita della confraternita sono descritti in un documento, datato 31 dicembre 1926, significativamente intitolato: «ultimi avvenimenti»: «Il terremoto dell’8 settembre 1905 e poscia quello del 28 dicembre 1908 ha danneggiato la chiesa della sudetta Congregazione, che perciò più non potevasi funzionare. In seguito scoppiò la guerra in Libia 1911 e poscia la guerra d’Europa 1914 onde partecipò l’Italia il 1915 così tutti i fratelli fedeli a tale Congregazione furono chiamati alle armi per difesa della Patria, così la Congregazione veniva quasi abbandonata. Finalmente per grazia di Dio e per fedeltà e fortezza dei valorosi giovani Italiani la nostra grande Patria ha riportato la vittoria contro il secolare nemico ed ognuno tornò all’amata famiglia. La fede divampava nel cuore di tutti perché la chiesa fosse ricostruita e la congregazione avrebbe preso il suo antico corso, cosa difficile sembrava perché occorreva molte mi-liaia di lire. Ecco che al finir del 1823 formavasi una commissione delle persone più nobili del paese le quali del concorso di tutta la cittadinanza riuscirono ad accumulare una tale somma che nel 1924 poterono riedificare dalle fondamenta il muro dalla parte est ed a rifare il tetto. Tutto ciò fu fatto per opera della cittadinanza non volendo che saper né il governo né l’autorità ecclesiastica. Rimaneva, quindi, la chiesa accomodata ma così rustica e senza che nessuno curasse per eseguire le solite funzioni.
Allo spuntar del 1 gennaio 1926 nel solito locale dell’oratorio si riunì un bel numero di vecchi fratelli col fermo proposito di riorganizzare di nuovo la Congregazione e così nominarono come Priore Grillo Pietro fu Santo, 1° assistente Cricenti Foca fu Vito, 2° assistente De Caria Nicola fu Vincenzo e segretario-cassiere De Caria Nicola di Vincenzo; furono questi gli elementi scelti per il buon avvenire della Benedetta e Santa Congregazione.
Questi con sacrificio accettarono la carica e (si) procurarono con tutta la forza per il miglioramento. Ecco dopo pochi mesi con pochi denari in cassa e l’incoraggiamento del Rev.do Padre Spirituale Caria Giuseppe stipularono per annobiliare la chiesa. Nel detto contratto i signori Stillitani mediante un compenso di lire tremila, che doveva sborsare la congregazione, s’obbligarono di fare l’incannizzata retinata nell’abside dove ancora si vedono le tegole, poscia pittarlo e deporre in mezzo lo Spirito Santo, risanare dove era rotto e pittarlo ad olio, situare lo stipite della Vergine, ritoccare la pitturazione di tutta la navata e biancheggiarla, come pure risanare le cornici dove si trovavano rotte. Altro lavoro fu eseguito da Alfonso Simone di Filadelfia cioè risanare la parangusta perché era rotta, ritoccare la pittura del pergamo ed altro mediante un compensi di lire 300. Costa Santo falegnami di Francavilla accomodò tutti i finestroni dell’Oratorio e della Chiesa mise i vetri, un finestrone nuovo ed altro mediante un compenso di lire 307. Furono fatti i lampieri da servire per la Settimana Santa da un certo Ventura da Cortale per lire 45, fiori per la bara e stendardo per lire 30. Si è speso per cera, sagrestano, organista ed altro, che veniva dal segretario registrato nel conto corrente, la somma complessiva d lire 600. Così terminava la gestione dei sottoscritti amministratori dell’anno 1926. Il priore Grillo Pietre 1° assistente Foca Cricenti, 2° assistente De Caria Nicola, il segretario e cassiere Nicola De Caria»(27).
L’impulso e la vitalità data alla Congregazione non durò molto a lungo, infatti nei primi anni Trenta il pio sodalizio fu sciolto.
Nei locali dell’ex confraternita, restaurati ed ampliati dall’arciprete D. Giuseppe Caria, si insediarono, il 2 novembre 1958, le suore del Sacro Cuore «con scuole di ricamo taglio» per la gioventù femminile di Francavilla. Attualmente quei locali costituiscono la «casa parrocchiale».
NOTE
1 Archivio parrocchiale chiesa di S. Foca, registro dei confratelli 1926.
2 G. ESPOSITO, Per la storia delle Confraternite del Rosario in Calabria, in Rivista Storica Calabrese, n.s., n. 1-2,1980, pp. 145-161.
3 Archivio privato Ferruccio Schiavello Vibo Valentia.
4 art. XI dello statuto.
5 art. XII dello statuto.
6 art. XII dello statuto.
7 art. XVI dello statuto.
8 art. XV dello statuto.
9 art. VI-XVII dello statuto.
10 art. VII! dello statuto.
11 art. XVII-IX dello statuto.
12 art. XVIII dello statuto.
13 Archivio di Stato Lamezia T., notaio David Costa, atto del 27-2-1970.
14 ibidem.
15 ibidem.
16 ibidem.
17 ibidem.
18 art. XVIII dello statuto.
19 ibidem.
20 art. XVI dello statuto.
21 ASLT, notaio Nicola Bruni, atto e 15-5-1781.
22 ASLT, notaio Nicola Bruni, atto e 12-5-1782.
23 ASLT, notaio giovan Francesco Palmarelli, atto e 28-12-1843.
24 ibidem.
25 ibidem.
26 Archivio parrocchiale di S. Foca.
27 Archivio parrocchiale di S. Foca, registro dei confratelli 1926, cit.
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