Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
Finita la festa di San Foca anzi, alcuni la stessa notte, dopo lo spettacolo dei fuochi pirotecnici, con il camion di Ulisse o con l’ape di Santo su cui si caricava il materiale per costruire "a barracca" e il necessario per vivere dieci o quindici giorni si andava a "praia e mara".
Quasi tutta Francavilla si spostava. A Colamaio si ricostruiva il paese. Anche il medico, il dottor Amedeo Carchedi si trasferiva.
Tutti, con teloni, coperte e l’ausilio delle canne costruivano la propria tenda in cui sarebbero vissuti per il periodo programmato.
A quei tempi non ricordo ombrelloni, ma tutti facevano "u friscu" con due canne che sostenevano un lenzuolo.
Non c’erano bar o altro, c’era solo una piccola baracca presso cui si potevano acquistare i generi alimentari piú comuni o delle bevande fredde che, mancando l’energia elettrica, venivano tenute in enormi contenitori con del ghiaccio.
Il pane naturalmente era stato fatto in casa e insieme al pane i "viscottini", dolci che si consumavano per la colazione o per fare la merenda. In quei giorni al mare, mentre i nostri padri andavano a lavorare, non c’erano ferie per loro, le nostre mamme ci preparavano cose buone, melanzane ripiene, polpette di melanzane o di patate, polpette di carne, si consumavano le sopprassate che erano state conservate sotto l’olio perché, dicevano che il mare stancava.
Naturalmente da bambino la cosa che piú preferivo era quella di stare dentro l’acqua e, passato un certo tempo, mia madre veniva regolarmente a chiamarmi e ad intimarmi, invano, di uscire.
Durante la giornata oltre a delle passeggiate verso la fiumara e nella adiacente pineta ci si divertiva costruendo delle buche "u gabbatiejiu" nella sabbia che poi, dopo aver coperto con della carta poggiata su delle astine di legno o di canna, mimetizzavano con la sabbia stessa e aspettavamo che qualcuno ci cascasse dentro.
Ma il momento che personalmente aspettavo con piú impazienza, era la sera, dopo aver cenato, quando tutti ci si metteva seduti a ruota e i grandi raccontavano di cose realmente accadute anni prima, di spiriti, dei sogni che avevano fatto e, a volte, di cose che forse avevano inventato per l’occasione.
I racconti piú interessanti erano quelli che facevano i nostri genitori emigrati che oltre a descriverci le loro condizioni di vita e di lavoro, delle difficoltá che avevano trovato e di come le avevano superate, delle persone buone o cattive che avevano incontrato, cercavano di descriverci queste grandi cittá dove erano stati.
Quasi tutti gli anni ad certo punto, specialmente se la festa di San Foca, era caduta alta, arrivava la pioggia e se questa era abbastanza forte costringeva quasi tutti, non essendo adeguatamente attrezzati, a tornare, sempre con il camion o l’ape, a casa.
Le foto nel testo sono di Pungitore CH
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