Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
La tecnologia oggi mette a disposizione molti prodotti che migliorano la qualità della vita e, tra questi prodotti, la lavatrice sicuramente occupa un posto rilevante.
Specialmente per le donne perché le ha liberate da una pesante incombenza che era ed è quella del bucato.
Nei negozi ce ne sono di tutti i prezzi, di tutti i colori, di diverse dimensioni, con diversi modi per caricarle e con prestazioni sempre più elevate.
Alcune hanno perfino il programma per l'asciugatura del bucato.
Fortunati coloro che ieri hanno potuto e oggi possono usufruire di tanta comodità.
Quando abitavo a Pendino non era proprio così, anzi le nostre mamme per fare il bucato erano costrette, con la biancheria sporca contenuta dentro a “cofineja” che portavano in testa, a recarsi presso il fiume.
I “pendinuoti” ,e quindi anche mia madre, si recavano presso la località denominata a Frischia, altre a Talagone, altre ancora al Drago.
Quella del bucato era una fatica enorme perchè si trattava di stare piegate o inginocchiate a ridosso di sassi, sistemate lungo il corso del fiume e con i piedi nudi nell’acqua.
Solo successivamente si è provveduto a costruire delle vasche appositamente predisposte per il bucato rendendo più agevole il lavoro delle donne.
Alla Frischia le vasche erano due: una per poter insaponare i panni e l’altra per togliere il sapone nell’acqua chiara.
Bisognava poi provvedere ad asciugare i panni e la cosa era abbastanza facile nel periodo estivo perché venivano stesi sulle siepi intorno al fiume che voleva anche dire tornare a casa con un carico sulla testa relativamente pesante, era molto più difficile d’inverno perché bisognava caricarsi sulla testa a "cofineja" piena di panni bagnati.
Anche i detersivi che si usavano erano molto diversi da quelli di oggi.
Non avevano bisogno di profumi e di essenze per far profumare la biancheria.
Non c’erano fustini colorati pieni di detersivo o ammorbidenti con una lunga serie di essenze profumate ma il sapone fatto in casa.
Lo si faceva usando i rimasugli dell’olio di oliva e il grasso del maiale diluiti con l’acqua.
Il tutto si metteva a bollire dentro a “coddara” recipiente di rame, posizionata sopra “u tripuodi” , veniva poi aggiunta della soda caustica per permettere la saponificazione.
Un approfondimento merita il bucato delle lenzuola ossia quando si “spandia”.
Una operazione che sapeva di magico e che alla fine portava ad avere un bucato bianchissimo e profumatissimo. Era un piacere sentire quelle lenzuola a contatto con la pelle.
Le donne dopo aver proceduto a quello che oggi chiameremmo il prelavaggio della biancheria, eseguito utilizzando acqua e il sapone fatto in casa, predisponevano i capi dentro un grande recipiente di terracotta a forma di tinozza chiamato “grasta”.
La “grasta” aveva un foro in basso su un lato che serviva per far defluire l’acqua.
Il bucato veniva disposto pressandolo leggermente dentro la “grasta” come per formare dei cerchi concentrici e sopra si posizionava uno straccio pulito bianco per coprire il tutto.
A questo punto sul tutto si versava a “lissia”, un misto di acqua bollente e cenere ricavata dal camino. Il tutto si lasciava così per tutta la notte.
Il giorno dopo, levato lo straccio che era servito da filtro, si passava al risciacquo delle lenzuola e alla loro stesura al sole per asciugarli.
Non c’è detersivo marsiglia che può farmi sentire ancora quel profumo di pulito e quel bianco che con questo processo si ottenevano.
La foto in alto, dentro il testo, è stata gentilmente fornita da Franco Giugno Torchia e quelle esterne da Foca Accetta: grazie ad entrambi.
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