Francavilla Angitola - Il Paese del Drago
(I Potìhi)
Tra i miei ricordi dell’infanzia a Francavilla Angitola ci sono anche quelli legati alla presenza, allora molto cospicua, di attività commerciali, che rispondevano a quelli che erano quasi tutti i bisogni dei francavillesi. Tra queste attività mancavano quelle legate all’abbigliamento e a poche altre merci come frutta e pesce.
Le esigenze legate all’abbigliamento venivano soddisfatte grazie ad alcuni venditori ambulanti che venivano tutto l’anno al paese o durante le feste con l’arrivo delle bancarelle che riempivano tutta la via principale o recandosi al mercato settimanale di Filadelfia.
I venditori ambulanti che più hanno segnato e caratterizzato una certa fase storica a Francavilla sono stati in particolare Ciliberti , Gennarino e Quintino. Ciliberti che arrivava dalla vicina Filadelfia girava per il paese con un enorme bagaglio a forma di sacco sulle spalle nel quale erano contenute scarpe, biancheria intima per uomo e donna, calze, orecchini e quant’altro i francavillesi gli ordinavano. Per invogliare le ragazze a comprare gli orecchini recitava una sorta di poesia : " Signorini si belli voliti u siti i riccjhini mia aviti u vi mentiti ".
Ma i venditori ambulanti che hanno fortemente segnato un’epoca e per alcuni aspetti ancora oggi la segnano sono stati "Giannarino" e "Quintino". Del primo ricordo ancora la frase strillata " roba bella, roba bella " e del secondo oltre alle continue dispute con il suo giovane fratello anche la filastrocca con la quale strillando annunciava il suo arrivo " taglia Maria taglia a cento lire al metro ". Quintino ha avuto la meglio su Gennarino, oltre che per le sue indiscutibili capacità anche perchè sposandosi con una francavillese ha messo le radici nel paese divenendone di fatto un concittadino.
Per la frutta e verdura erano molti i contadini francavillesi che portavano in piazza per venderli i prodotti della terra che con tanta fatica avevano coltivato . Erano i prodotti "paisani, nostrani " e considerati per questo più buoni e genuini.
Per il pesce venivano, così come fanno oggi, alcuni venditori da Pizzo Calabro. Un altro prodotto che certamente non si acquistava nei negozi era il latte. Quest’ultimo infatti veniva portato a casa dai pastori con i quali lo si era "accordato".
Per annunciare che in piazza, su una sorta di pedana di cemento attaccata al muro dell’attuale oratorio della chiesa della Madonna del SS Rosario, di fronte alla fontana con tre cannelle, luogo dove si svolgeva la vendita, c’era la possibilità di poter acquistare questi prodotti si faceva uso del banditore. Una persona che girando per le vie del paese dopo aver richiamato l’attenzione al suono di una tromba elencava i prodotti in vendita e ne elogiava la qualità.
Per cui tutti i pesci erano vivi e la frutta fresca e casereccia (arrivaru i pisci frischi ). Questo ruolo di banditore per molto tempo lo ha svolto Pasquale Limardi "u spazzinu" e successivamente un altro francavillese detto "u patrisi". La bilancia per poter pesare i prodotti la si "affittava" presso il Comune.
Ma per tornare alle attività commerciali intese come negozi a Francavilla, sperando di non scordare nulla(altrimenti che ricordi sono), c’erano sei negozi di alimentari: a pendino Focuzzu Fiumara aiutato nella gestione dai figli Franco e Orazio (era questa la bottega dove il mio amico Vincenzo Talora, oggi in Australia, si faceva comprare "u bovoloni " dalla madre con la scusa di avere fame ma solo di quello), Cecè Cricenti e Ntonuzzu Ionadi e Nicola Costa tra la chiesa di S. Foca Martire e Piazza Solari, cummara Cuncetta e Mariastella e Vicenzinu Russo tra Piazza Solari e Piazza di Santa Maria degli Angeli e Foca Mata (Foca Malta) subito dopo Piazza Santa Maria degli Angeli.
Erano presenti ben quattro bar quello di Foca e Cristina (Foca Carchedi) , quello di Barbina, quello di Peppinuzzu Galati e quello di Foca Serrao.
C’erano anche due tabaccai uno subito dopo il bar di Foca Carchedi e l’altro in piazza Solari, un panificio situato nell’attuale piazza Marconi gestito dalla famiglia Ionadi e una ferramenta gestita da Totò Costa.
C’erano inoltre due macellerie quella di Foca Caruso e quella di Pasquale Fiumara e tre osterie: quella e "Cienzu e Mariastella", quella di Foca Caruso e infine quella di "Foca e Caria".
Ovviamente allora non c’erano gli attuali supermercati con il loro grande assortimento, diversificazione di qualità e quantità di merci, e non c’era la possibilità di spostarsi dal paese con la stessa facilità di adesso, ed, è inutile sottolinearlo, i consumi erano completamente diversi. Più che alla qualità si puntava alla quantità e comunque ai prodotti necessari alla soddisfazione di quelli che erano i bisogni primari legati all’alimentazione necessaria al sostentamento per poter essere in grado il giorno dopo di svolgere, spesso dopo una lunga camminata, il duro lavoro dei campi o nei primi cantieri.
Non c’era bisogno di usare i carrelli o le buste di plastica per riporre i pochi prodotti che quotidianamente si acquistavano ma si tenevano tra le mani. Gli acquisti più frequenti erano quelli di pasta, di strutto(grassu) per cucinare (chi non aveva l’olio lo usava perchè costava molto meno), di sarde salate che venivano fatte in padella con un po’ d’olio e il pepe macinato( pipi pistatu ), i scatulieji e conserva (concentrato di pomodoro) ecc.ecc.
Così come non c’erano i supermercati con l’enorme quantità di prodotti di oggi non c’era neanche una grande liquidità economica e gli acquisti si facevano a credito ( a cridenza ).
Si usava infatti un libretto su cui venivano segnati mano a mano gli acquisti e i clienti pagavano appena possibile: a fine mese per coloro che andavano alla giornata, o nella stagione dei raccolti per i contadini o quando i congiunti emigrati nel nord Italia o all’estero spedivano i soldi tramite il vaglia postale. Questo libretto dalle dimensioni di una piccola rubrica era di colore nero con il dorso delle pagine colorate di rosso. Questa economia tipica di una società agricola ha consentito a molte famiglie, grazie anche all’esposizione economica dei commercianti, di poter sopravvivere. Sul commercio "a cridenza" sono nati molti proverbi (Cu vinda a cridenza senza pegnu perda arroba, l’amicu e l ’ingegnu).
Tra i ricordi di quel periodo c’è anche quello legato a zio Pietro Attisani(marito di Elisabetta Pungitore cugina di mio padre, che io chiamavo zia per rispetto dovuto al fatto che due fratelli avevano sposato due sorelle) che mi mandava ogni sera dopo il ritorno dalla campagna a comprargli tre sigarette nazionali con il filtro. Tre sigarette perchè una costava dieci lire e tre costavano venticinque.
Presso i tabaccai oltre alle sigarette, ai valori bollati e i battari (fiammiferi) si comprava anche il sale grosso e fino. In modo particolare quando veniva il periodo dell’uccisione dei maiali tutti ci raccomandavamo a cummara Lisa perchè ci riservasse un bel pezzo di sale intero. Sale che poi con l’ausilio "do mortaru e do pistuni " si "pistava " rendendolo fino per salare la carne e quant’altro necessitava. A pensarci quanta fatica!
Oltre che nei bar, in quasi tutti gli alimentari, c’erano dei locali adibiti al gioco delle carte che rappresentavano per gli uomini del paese gli unici luoghi, tolta la piazza e quelli dentro a ruga nelle sere d’estate, di incontro e di svago. Al gioco delle carte c’era legata la consumazione che quasi sempre era vino o birra.
I giochi che più frequentemente si svolgevano con le carte erano quelli della briscola e del tressette, quello della scopa e della primiera, quello della reginella. Alla fine del gioco chi perdeva pagava o si faceva segnare sul libretto le consumazioni e si procedeva a fare il padrone e il sotto.
Il padrone poteva disporre per se di tutte le consumazioni senza nessuna autorizzazione e disponeva chi oltre a lui poteva bere, ma in questo caso doveva essere d’accordo anche il sottopadrone. Naturalmente quest’ultimo non acconsentiva che altri potessero consumare qualcosa se prima non fosse stato concesso di consumare a lui. I problemi sorgevano quando padrone e sotto andavo all’olmo e per orgoglio o per dispetto il padrone era costretto a bere tutto da solo.
Oggi questi sono solo ricordi, ricordi di una società contadina che non c’è più così come non ci sono più i molti negozi che prima menzionavo. Negozi che hanno permesso ai gestori di mantenere dignitosamente le loro famiglie e agli altri francavillesi, attraverso "a cridenza " , di poter sfamare le proprie.
La foto presente nel testo è stata gentilmente fornita da Claudio Aracri.
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