A Roma!
A ruga da Piergula

....Come i treni a vapore come i treni a vapore
di stazione in stazione di porta in porta
e di pioggia in pioggia
di dolore in dolore
il dolore passerà.
Come i treni a vapore
come i treni a vapore
il dolore passerà.


Ivano Fossati


A uno a uno, li ho visti partire quasi tutti, i miei amici.

Chi andava in Svizzera, chi in Germania, chi a Torino o a Milano, altri chissà dove.
Nei loro volti, come Giani bifronti si potevano leggere due sentimenti contrastanti.
Da una parte sconforto, forse paura, per l’avventura che stavano per affrontare, dall’altra, entusiasmo e fascino per quello che in fondo vivevano come un sogno e come il passaggio dalla fase adolescenziale all’età adulta.

Si partiva, si andava a cercare un’opportunità per costruire il proprio futuro e, se questo voleva dire abbandonare i propri cari, gli amici, i luoghi che ti avevano visto crescere, giocare, cadere ed escoriarti le ginocchia anche se ti bruciava dentro, in fondo, “poco importava” : Francavilla Angitola non ti offriva nessuna prospettiva per realizzare le tue aspettative e i tuoi sogni, eri pronto a tutto. E poi in fondo, noi calabresi, siamo quasi “geneticamente” predisposti per emigrare.

Da che facevamo a botte per contenderci un posto tra i ventidue “giocatori”, per disputare una partita a pallone, a un certo punto, non riuscivamo più neanche a raggiungere il numero di “giocatori” sufficienti per una partita a calcio balilla.
Le sale giochi dei bar erano vuote, così come vuote e desolate, erano le vie del paese.

Al dolore per il distacco dagli amici, per chi restava, si aggiungeva l’angoscia della solitudine.

Intere “rughe” (rioni), che fino a poco tempo prima erano piene di vita, per la popolosa presenza man mano diventavano rioni vuoti e silenziosi.
Non c’era più il vocio dei bambini che facevano il gioco del momento (liberatu, ammucciateja, mazzica, pizziza e sazizzu…), non si udivano più le mamme che chiamavano i propri figli e nemmeno i profumi tipici provenienti dai sughi, forse poveri, ma che si espandevano per tutto il rione.

La passeggiata, che nel pomeriggio o la sera si faceva per le vie di Francavilla Angitola, fino ad arrivare al drago, che era un momento di festa, di gioia e di spensieratezza nel quale noi ragazzi ci scambiavamo le nostre opinioni o ci confrontavamo sugli eventi del paese e non, era diventata una camminata nella quale, spesso in solitudine, riflettevo sullo svuotamento del paese e sul mio incerto futuro.

Panorama dalla cupola di San Pietro

Terminato il triennio presso l’Istituto professionale di Stato di Filadelfia(VV), dopo gli esami complementari, sono approdato all’ITIS di Vibo Valentia e, una volta che ho conseguito il diploma, subito dopo l’uscita dei quadri verso la seconda metà di luglio, fatte le valigie e preso il treno, dopo una lunga nottata con tanti pensieri per la testa insieme a tutta la mia famiglia parto per Roma.

Il treno avanzava e ogni tanto faceva sentire il suo fischio come per ricordare a chi non sentiva in lontananza il suo tipico “ciuf ciuf” che stava passando.

Ogni tanto, come un drago con gli occhi di fuoco e le fauci fumanti, imboccava delle gallerie e il ritmo cambiava, il rumore era diverso, forse perché il suono veniva amplificato e dalle gallerie usciva come se avesse attraversato una nuvola buia e l’avesse vinta con la sua forza per proseguire il suo inarrestabile viaggio.

Se mi affacciavo dal finestrino, molto sporco, mi sembrava che a correre fossero gli alberi e le case intorno e, noi passeggeri, li fermi come se stessimo vivendo in uno di quei sogni in cui ti capita di correre e di ritrovarti sempre allo stesso punto.

E’ stata quella una notte molto lunga, come lungo, angosciante e molto scomodo è stato il viaggio.

Scomodo, perché il treno che ci ha portato a Roma ha impiegato circa dodici ore e le carrozze avevano, se pur belle, “le poltrone” in legno.
Angosciante, perché durante tutto il viaggio non ho fatto altro che pensare a quale potesse essere, per me che ero vissuto e cresciuto in un paesino prevalentemente di contadini, il mio futuro in una grande metropoli.

Ma quella notte fu anche l’occasione nella quale ho capito per la prima volta cosa significasse essere “del sud” e quali sentimenti ed emozioni provavano mio padre e i suoi amici quando partivano e si lasciavano alle spalle i loro affetti, gli amici, i propri luoghi.
E come non pensare a quelle lacrime che al momento dei saluti rigavano il viso di amici e parenti? E più i parenti erano anziani e più intenso era l’abbraccio e più dirompente il pianto.

La stanchezza a un certo punto prese il sopravvento e nonostante “le poltrone di legno” crollai.

Non so per quanto tempo ho dormito, ricordo solo che ad un certo punto sentii un forte trambusto accompagnato da un intenso vociare e in lontananza un altoparlante che annunciava che eravamo alla stazione Termini.

La notte era passata e con essa erano finiti il viaggio in treno e la mia adolescenza: Ero a Roma!

Qui, iniziava il mio viaggio da adulto verso quell’incerto futuro a cui avevo pensato tutta la notte.

 

 

 

 

 

 

La lupa di Roma

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